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PASQUALE GIAQUINTO

Non credo all’ispirazione fulminea, al genio romantico, a chi sostiene che scrittori si nasce... Interpreto la scrittura come lavoro, incessante processo di miglioramento, evoluzione. Non riesco per esempio a scrivere senza uno schema stabilito, un soggetto organizzato, una trama o un progetto drammaturgico di vicende e personaggi. L’idea estemporanea ha dunque per me scarso valore. La mente ne genera a bizzeffe in ogni ora del giorno anche se parecchie muoiono prima di arrivare alla coscienza. Altre vengono censurate, scartate, criticate, dal silenzioso riesame del pensiero o spodestate da nuovi progetti e alla fine di tale estenuante lavorio rimangono appena un paio d’idee, quelle buone, frutto di pressante ricerca e infinite letture. Per scrivere una pagina bisogna averne lette almeno diecimila! Non sono bravo a riconoscere lo specifico apporto della fascinazione letteraria sul mio lavoro, sono spesso gli altri a farmi notare similitudini, punti di contatto. Ammiro lo stile di Lorenzo da Ponte, il librettista della trilogia italiana di Wolfgang Amadeus Mozart, anche Morris West e ho una venerazione per la prosa di Niccolò Ammaniti. Non scrivo ogni giorno, sono il tipo stagionale, e non seguo particolari riti. Penso, per esempio, che fumare e bere durante la scrittura sia indice di qualche intoppo. Scrivere è un mestiere ma anche un gioco che ha poco a che fare con lo svago. Un’attività paragonata alla preparazione di una bomba, di un meccanismo logico strutturato su leggi e modi intrinseci… E per giocare occorrono regole, senza norme, metodo, non esiste divertimento. Grazie alla mia esperienza da insegnante conosco bene le dinamiche della ricreazione. I bambini giocano con serietà, nell’esperienza ludica investono estrema energia e concentrazione, il divertimento è puramente un effetto secondario, e da questo punto di vista credo di aver conservato molte sfumature del mio animo infantile. A scuola non passavo inosservato, ero socievole, amico di tutti. Sognavo di fare l’astronomo, il musicista, passavo ore a giocare coi nonni o a riordinare la collezione di monete. Ma custodisco anche tante paure legate all’infanzia. Evitavo per esempio di camminare sulle grate che s’incontrano sui marciapiedi, convinto di sprofondare. Ancora oggi avverto disagio di fronte a un’inferriata… non la evito ma mi sento inconsciamente preoccupato e cerco di superarla più in fretta che posso. C’è un ricordo particolare che serbo con affetto, un’impressione estetica legata al paesaggio marino. Avevo quasi sette anni, ero su una scogliera e rimembro le rocce appuntite che pizzicavano i piedi, il rumore delle onde, l’odore della spiaggia… Da campano ho un forte legame col mare. Sono infatti nato a Caserta trentotto anni fa, anche se dai diciotto ai ventotto mai mi sono fermato per più di due anni nella medesima città. Ho viaggiato soprattutto per lavoro e studio, da dieci anni mi sono stabilito a Roma e a onor del vero mi sposto con riluttanza. Sono innamorato della Città Eterna, giuro che non la cambierei per niente al mondo… Un amore non retorico, né iperbolico anche perché la definizione d’amore ricopre per me significati ampli. È amore quello del genitore per il figlio e viceversa, dell’insegnante per l’allievo e viceversa, di un individuo per un luogo. Una serie pressoché infinita di casi che mi affascina e mi conforta, che non trova però particolare rilevanza nel mio lavoro da scrittore. Parlare d’amore non è assolutamente una delle mie priorità. Certo, mi sono occupato di pedofilia, amore abominevole, deviato, e del mondo della scuola, cercando di evidenziare il contenuto sentimentale che lega il docente al discente, ma oggi sono più interessato a quelli che un tempo venivano chiamati massimi sistemi. Un argomento forse pretestuoso, poco adatto alla mia età… ma, pur riconoscendo che i vecchi hanno davvero qualcosa da insegnare ai giovani, penso debbano di tanto in tanto far salire anche le nuove generazioni sul piedistallo dal quale abitualmente predicano. Ecco la mia concezione di politica, intesa molto alla maniera greca, come dibattito che investe la collettività. Un percorso pubblico, sociale, che non deve per forza fossilizzarsi sui partiti o sul partitismo.

 
     
     
 
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